Roma - Auditorium della Musica
20 anni di cinema in festa
Rome Film Fest
Anche la musica protagonista
di Margherita Lamesta
Ricco di temi il carnet della ventesima edizione del Rome Film Fest - da poco conclusa all’Auditorium Parco della Musica di Roma - fra i quali uno spazio se l’è ritagliato proprio la musica.

“Riuscire a vedere la luce nel buio” – a dirlo è Giovanni Allevi alla conferenza stampa di Allevi Back
to Life, il documentario di Simone Valentini.
Uno spaccato doloroso e liberatorio che restituisce il senso delle cose e la capacità di scorgere una
scintilla nella sofferenza, superando il blocco attraverso il fare. Mieloma, una diagnosi pari a una
sentenza con le sue sintomatiche incertezze, ma il male si trasforma in melodia romantica e
malinconica nel concerto per violoncello e orchestra composto dal Maestro durante la degenza.
Dopodiché, l’augurio di dirigerlo grazie alla guarigione dell’anima, vitale per quella del corpo,
ricordando Platone e immortalando nel documentario la sua prima direzione musicale dell’opera,
per farci vivere sulla pelle ogni battuta scritta sul pentagramma.

È un dolore catartico a liberare il musicista dalla schiavitù del consenso e dalla logica dei numeri,
restituendogli il senso profondo dell’individuo fino alla riscoperta dello stupore del bimbo.
Nell’ottica di una semplicità destinata a durare, poiché passata attraverso una complessità risolta,
questa musica si oppone con forza alla banalità - continua Allevi - la cui semplicità è solo effimera,
invece.
Al netto dell’incontro ravvicinato con la morte, il musicista torna al suo pubblico per regalargli un
ensemble di virtuosismi musicali, lessicali e concettuali nel solco di una filosofia volta ad
esorcizzare il male più temuto.

Ed è ancora la musica il filo conduttore di Deux Piano diretto da Arnaud Desplechin, che mette in
scena un dualismo rappresentato dall’esibizione a due pianoforti.
Titolo anche simbolico e di
rimando al dualismo dell’animo umano e alle contraddizioni del sentimento più importante di
sempre: l’amore.

Al centro del film, dall’incipit vagamente metafisico, il regista pone il confronto
tra il musicista e la sua vita rinata in un figlio che non sapeva di avere.
Conteso fra mamma naturale e madre artistica, interpretata da una evergreen Charlotte Rampling,
il protagonista lascia alla donna amata la libertà di scelta e a se stesso la consolazione vocata della
musica, più forte persino della tendenza autodistruttiva scatenata dalle sue pene d’amore.
Sostenuta dal linguaggio universale suo peculiare, nel film come nel documentario, la musica
scorre senza ostacoli e sublima il dolore in note.

È il confronto riuscito tra fiction e vita vera, quello fra Deux Piano e Allevi Back to Life, due opere al servizio di una melodia che tocca il cuore con suoni armonici e passionali, rigeneranti tanto per una storia inventata, quanto per guardare in faccia i momenti più difficili della vita di tutti.

E restando sulla musica ma sbirciando nel teatro, la pièce Beethoven in Vermont scritta e diretta da Maria Letizia Compatangelo, in tour dal 2019 e in scena al Teatro Vittoria di Roma la scorsa settimana, è un’operazione moderna di fusione fra teatro e concertismo. Tre musicisti tedeschi, un pianista, un violinista, un violoncellista, fuggiti dalla Terra patria ripudiata, risorgono come uomini e come professionisti in America, nel 51, portando sul palco i virtuosismi generalmente finti nell’opera cinematografica, ma veri a teatro per l’affascinante hic et nunc del palco.

I tre si raccontano ai giovani d’oltreoceano, superano lo struggimento romantico ottocentesco e il dubbio del secolo scorso, e scelgono di suonare Beethoven come simbolo di fratellanza per sottolineare il potere unificante dell’Arte, soffermandosi persino sugli aspetti più analitici e tecnici, per la gioia degli addetti ai lavori.

Realtà/finzione, vita vera mescolata alla verosimiglianza dello script li ritroviamo anche in Couture
di Alice Winocour e Vie privèè di Rebecca Zlotowski, ambedue passati alla Festa.
Due registe: Wincour intenta a ricucire tre vite parallele calate nel mondo dorato della fashion
week parigina e Zlotowski che si muove fra il thriller, scatenato da un suicidio dietro il quale si
nasconde un’ipotesi di omicidio scarsamente realistica, e lo psicodramma un po’grottesco avente
per paziente la stessa analista.

Se la sartoria taglia e ricuce un abito per abitarlo al meglio e la chirurgia sutura un corpo per
risanarlo, la vita vera resta sfilacciata e le ferite dell’anima non si possono guarire, se non
accettandole o trasformandole in qualcos’altro.
Tutto il film ruota intorno a temi cari alla regista: corpo, trauma, resilienza, affidati a tre donne, fra
cui due in transito, a fare i conti con un destino drammatico, il cancro al seno per la regista
americana, la guerra lasciata a casa per la modella sudsudanese al suo debutto. È la terza, però, a
ricucire il tutto, con la forza della stanzialità e a incarnare il punto di vista della regista. Sforzandosi
di nascondere sotto il trucco le ferite degli altri, racconta le proprie nel suo libro in cerca di
pubblicazione, di pubblico, infatti.

Tra il visibile e il nascosto si muove anche Vie privèe, mettendo in scena l’imperscrutabilità della mente umana. La protagonista è in crisi nera, affetta da una cecità mentale, che trova luce nell’ex marito oculista - inossidabile il suo amore per lei malgrado il divorzio - capace di salvarla persino da se stessa. Di livello i dialoghi Foster/Auteuil, nonostante lo script risulti a tratti nebuloso, indebolendo, nel complesso, l’intero film.

Un ventennale, dunque, proiettato verso un destino in crescita, vigoroso e propositivo, come La
Forza del Destino che ha aperto la scorsa stagione lirica del Teatro alla Scala.
Ambientato in una drammatica zona di guerra, infatti, il regista Leo Muscato dirige il melodramma
verdiano con pathos, ispirando il documentario di backstage firmato Anissa Bonnefont.
La gestazione, i dubbi condivisi con il Maestro Riccardo Chailly, le prese di posizione rischiose, i
retroscena sconosciuti ai più, lo scorrere dei giorni di prova, è tutto un crescendo fino al trionfante
debutto. Ne emerge un ritratto pulsante del Teatro alla Scala, orgoglio nazionale e inossidabile
roccaforte di tradizione che si rinnova, anno dopo anno, rinforzando l’incontro fra opera lirica e
attualità.
Alea iacta est - Il dado è tratto, dunque, appuntamento con la Festa del Cinema di Roma alla
prossima edizione.

