Occhio e sguardo
nella città senza sonno
48 ore a New York
di Guido Alberto Rossi
Per la precisione bisognerebbe dire New York City, ovvero solo la città e non tutto lo stato, che praticamente è grande come metà dell’Italia (stato NY 141,205 Km2 / tutta l’Italia 302,073 Km2). Mentre la sola NYC ha una popolazione di quasi nove milioni di persone che, come si sa, vengono da ogni angolo della terra, compreso Donald Trump il cui nonno era tedesco.
Ma non è mia intenzione farvi una lezione di geografia tanto più che tutti questi dati li ho presi da Google e personalmente non so molto altro pur essendoci stato moltissime volte.
L’intenzione è di raccontarvi di come con un normalissimo smartphone (telefonino) si possa fare un mini-reportage in 48 ore.
Laura ed il sottoscritto a febbraio scorso abbiamo deciso di fare un viaggio in USA e ovviamente arrivare a NYC e vedere le novità visto che, come diceva il buon Frank Sinatra: New York è la città che non dorme mai e credo intendesse dire che non si ferma di costruire: nuovi incredibili palazzi, mega negozi e ottimi ristoranti dai conti vertiginosi a partire dalla mancia obbligatoria il cui minimo è il 22%, anche sulle tasse.
Mentre facciamo i bagagli, mi viene una mezza idea di portare una vera macchina fotografica, ma poi penso che dovrei anche portare: un grand’angolo, un piccolo zoom, un grande zoom e magari un teleobiettivo, ci penso bene e opto per il più pratico telefonino anche perché l’avevo già collaudato in un giro per la Francia (vedi papale-papale N° 330) e avevo scoperto che oltre a fare delle foto perfette, non pesa niente e può anche servire per telefonare.
Inoltre, ne ho appena comperato uno nuovo che fa delle foto straordinarie, mi dà la possibilità di scegliere il peso del file che voglio usare, possiede un super grand’angolo e se la cava anche con il mezzo tele, funziona di giorno e di notte e negli interni magicamente non sbaglia un clic. Ti permette anche di mandare e ricevere mail, messaggi, whatsapp e ha anche una grande quantità di toni di suoneria e per finire ci sta nella tasca, sia dei pantaloni che della giacca.
E così, leggero come una piuma, partiamo e arriviamo a NYC in una giornata stupenda, fredda, ma dalla luce magica. Mancavamo dalla Grande Mela, da una decina d’anni, ma man mano che giriamo per le strade abbiamo ambedue la sensazione di non essere mai partiti e tutto ci torna famigliare, alcuni vecchi ristoranti tipo P.J. Clarke e Gallangher, dove andavo spesso a mangiare con il mio amicone Santi (Visalli), sono rimasti uguali identici, hanno solo quintuplicato i prezzi.
Ma ovviamente non siamo andati fino a NY solo per mangiare e così il mattino dopo ci scateniamo e andiamo a visitare i nuovi grattacieli. Partiamo salendo fino al centesimo piano del 30 Hudson Yards dove c’è la terrazza panoramica, chiamata The Edge, che oltre alla vista mozzafiato ha anche un pezzo del pavimento trasparente e vedi giù, esattamente come se fossi un gabbiano, ovviamente sconsigliato a chi soffre di vertigini.
Il palazzo in sé ha altri dieci piani, ma non sono aperti ai turisti, mentre in cima in cima, praticamente dove mettono l’antenna della televisione, i più audaci possono salire, imbragati come salami, su una piattaforma completamente aperta a ben 400 metri d’altezza, con “solamente” 179 dollari a persona.
Al pomeriggio andiamo a fare una visita al Metropolitan Museum, che ha sempre qualcosa di nuovo in esposizione e poi non si finisce mai di vederlo tutto, questa volta ci dedichiamo alle sale degli artisti americani.
Usciamo che è quasi buio ed il contapassi del telefonino ci dice che abbiamo camminato per 14 chilometri, forse per oggi basta. Il giorno dopo abbiamo una prenotazione alle dieci per salire al Summit, che è l’ultimo piano del quarto grattacielo più alto della città, l’One Vanderbilt, che ovviamente si trova nella Vanderbilt street al numero uno.
Non ci eravamo documentati a dovere e così quando usciamo dall’ascensore al novantunesimo piano ci troviamo circondati da specchi anche sopra la testa e sotto i piedi, mentre da un finestrone vedi tutta Manhattan e le Empire State Building che sembra piccolo. Saliamo fino al novantatreesimo e ci facciamo fare la foto ricordo nel metro quadro di pavimento trasparente.
Visto che siamo lì vicino andiamo a fare qualche foto in Times Square, che non guasta mai. Siccome non abbiamo camminato tanto, prendiamo un taxi con l’autista tunisino, che viene da Monastir e che vive a NY da sette anni e ci facciamo portare a Chinatown che, dall’ultima volta, si è mangiata un altro pezzetto di Little Italy ormai praticamente ridotta ad un paio di strade o poco più.
Ovviamente non possiamo lasciare NY senza comprare qualche regalo souvenir e così entriamo in un negozio di Mulberry Street, dall’invitante nome Little Italy Gifts Center. Il proprietario, un simpatico pakistano, ci aiuta nella scelta della paccottiglia.
Finiamo la giornata verso il tramonto, scattando le ultime foto ai nuovissimi grattacieli su Central Park e guardo il contapassi annesso, oggi abbiamo camminato un chilometro e qualche centinaio di metri in meno. Ci siamo meritati una buona cena a base di bisteccone e ottimo vino californiano il tutto sempre con la mancia del 22%.
Prezzi a parte, New York è sempre New York – New York, my vagabond shoes………