Televisore gioia e dolore
Zapping
Frammenti semiseri di cronaca televisiva
di Luigi Capano
Finalmente è arrivato Carnevale, la vera festa della Repubblica, quella più democratica, quella più sentita, soprattutto dai bambini e dagli adulti con animo fanciullo. Se si indicesse un referendum per promuovere la settimana “poco santa” a festività nazionale, siamo certi che sarebbe un plebiscito. Altro che certe obsolete scipitaggini postbelliche!
I misteri carnascialeschi sono un rito ancora tutto da vivere e da gustare. E poi l’intrigo della maschera ci consentirebbe di trasferirci, salubremente, almeno per una settimana, in quel mondo al contrario di cui ha scritto, sollevando non poche polemiche, un rude generale di successo. Abbiamo seguito in Tv alcuni passaggi dell’arcinoto Carnevale di Venezia e abbiamo visto una giornalista inviata dal tarantolato Mario Giordano per conto del programma di Mediaset “Fuori dal coro”, scovare e inseguire una ladruncola zingara (parola, questa, che ci aggrada, molto più del gargarizzante etnonimo “Rom”) mentre “lavorava” di mano tra la folla festante. E si è vista poi questa operatrice delle tasche altrui, scappare per rifugiarsi nella caserma dei Carabinieri, nel più puro spirito carnascialesco: il mondo al contrario…
Eccoci davanti al Tg a goderci, divertiti, lo spettacolo dei magistrati di tutt’Italia, ben togati e ben armati di Costituzione in bella vista, assiepati in sciopero nazionale davanti ai rispettivi Tribunali, come un tempo lontano noi sedicenni in puerile sommossa davanti alla scuola. Lo Stato che sciopera contro lo Stato…Aristofane ne avrebbe tratto una commedia esilarante delle sue…
Mentre la giostra dei politici suona sempre lo stesso carillon, giacula sempre gli stessi slogan, come se il tempo fosse trascorso senza lasciare traccia: da una banda, la destra arringa i patrioti sciorinando innumere varianti del vetusto e improponibile motto mazziniano “Dio, Patria e Famiglia”, quello degli anni lontani in cui, nelle pubbliche allocuzioni, il Gran Maestro volgendosi ai suoi frammassoni li appellava: “Fratelli d’Italia”.
Dall’altra, la sinistra, sempre inchiodata al legno marcio dell’antifascismo, farfuglia di diritti, lamenta discriminazioni, latra di razzismi, arzigogola di patriarcati; chiede sistematicamente le dimissioni dall’incarico parlamentare di questo e di quello, come strumento unico di opposizione politica; tiene con orgoglio a dichiararsi “progressista”. Ma il paradosso dei sedicenti progressisti è che, nel definirsi tali, professano una dottrina ottocentesca.
Intanto per le strade di Roma ci capita di incontrare, sempre più spesso, figure misteriose, dal passo veloce ed elusivo, completamente fasciate quasi sempre di nero, eccetto una sottile feritoia nella stoffa a suggerire le palle degli occhi. Dal rollio dei seni e dal beccheggio delle natiche le indoviniamo donne. E’ l’aspetto tetro del carnevale quotidiano, dove il grottesco prende un tono cupo e avvilente e zufola note di idolatria e di asservimento.
Ma nella settimana “poco santa”, quella del mondo al contrario, anche queste stupide maschere, piombate nelle nostre città chi sa da dove, potrebbero perfino vivere, per qualche giorno, la loro effimera palingenesi.