#308 - 4 giugno 2022
AAAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarrà  in rete fino alla mezzanotte del giorno di sabato 31 maggio quando lascerà  il posto al numero 364 - BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè" (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) «La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti». Papa Francesco «Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo». Alberto degli Entusiasti "Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità , vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
letteratura

Uno spazio in omaggio al Sommo Poeta

Endecasillabi sciolti e ritmati nella lingua dell'Urbe

La Commedia

Canto VI

di Angelo Zito

Stavo a ritornà in sesto co’ la testa
stortata da la storia dei due amanti,
che m’aveva riempito de tristezza,

e, appena che me movo, artre pene
me vedo intorno e artri sofferenti,
dove che guardo e dove che me giro.

Pare che er tempo qui ner terzo cerchio
nun voja smette fino a l’infinito,
pioggia grandine ghiaccio tanta neve,

un’aria de tregenda in mezzo ar buio,
da la tera, impastata co’ la fanga,
er fetore se spanne tutt’attorno.

Un animale strano co’ ttre teste:
Cerbero, orenno, abbaia come un cane
contro l’anime avvorte ner pantano.

Occhi de fiamma, barba unta e nera,
la panza gonfia, ugne come lame,
squarta le carni de li poveretti.

Senti in quela bufera l’ululati,
cercheno riparo l’uno co’ l’artro
girannose a l’infinito, disgrazziati.

Quanno ce vidde quela bestia informe
spalancò le fauci, ce mostrò le zanne,
un tremore aggitato lo scoteva.

La guida mia, aperte ambo le mani,
le riempí de fango preso a tera e
l’incarcò in quele bocche affamate.

Come er cane ch’abbaia si cià fame
e quanno morde l’osso trova pace,
perché ha trovato quello che cercava,

s’azzittireno cosí le tre capocce,
che a sentille sbraità tutt’a ‘na vòrta
ogn’anima vorebbe d’esse sorda.

Sopra quell’ombre fraciche de pioggia
mettevamo er piede e sentivamo
come fosse corpo la superbia loro.

Staveno tutte stese giù per tera,
solo una de scatto s’arzò in piedi,
ner vedecce passaje de davanti.

“O tu che vai in giro pe’ ‘st’inferno",
disse, “dovresti sapè er nome mio,
perché sei nato prima ch’io morissi”

E j’arisposi: “pe’ come sei ridotto
nun riesco a véde chiaro co’ la mente,
credo de nun avette mai incontrato.

Ma dimme chi sei tu che t’addolori,
scontanno questa pena che te tocca,
che, si pure nun è er massimo, fa male”

“Ho vissuto lí dove sei nato”, disse,
“e Fiorenza me tenne in gran rispetto,
ma pe’ l’invidia mó cià pieno er vaso.

Ciacco er nome che m’avete dato,
conforme a li piacere de la gola,
che mó li sconto in mezzo a ‘sta tempesta.

E a fracicasse stamo in compagnia,
artri sò condannati a ‘sto supplizzio
come me tocca a me”. E restò zitto.

“Ciacco”, je risposi, “er tuo dolore
tanto me smôve che me viè da piagne;
dimme, forse lo sai, che pô succede

a ‘sta città divisa in due partiti;
nissuno se sarva; e co’ cche scopo
se fanno tra loro tanta guera?”

Disse così: “Doppo ‘na lunga lotta,
quelli der contado cacceranno er sangue
a li cittadini e li faranno neri.

Cadranno poi ner giro de tre anni,
e l’aiuto de chi stava in finestra
riporterà queli neri in prima fila.

Governeranno tanto co’ la forza
da tené quell’artri, inviperiti,
a piagnese l’offesa sopportata.

Due sò li giusti che nissuno ascorta,
la superbia, l’invidia e l’avarizzia:
l’unichi fochi che l’infiammeranno”.

E smise de mischià pianto e parole.
Je dico ancora: “ Famme sapé de più,
ricconteme li fatti che tu sai.

‘Ndo’ stanno mó er Tegghiaio, Farinata,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e Mosca
c’hanno operato bene co’ la mente?

E d’artri ancora che nun so la fine;
l’inferno li ammorba co’ le pene
o se sazieno de dorci su ner cielo?”

“Sò proprio loro”, me fà, “ li più marvaggi;
e pe’ le tante pene meritate
scegni più sotto e giù li troverai.

Quanno starai ar monno de la luce
nun te scordà de fà er nome mio:
ora m’azzitto, nun ce dimo artro”.

Girò allora lo sguardo pe’ traverso,
provò a guardamme e poi piegò la testa:
e ripiombò ner mezzo de la mérma.

Parlò Virgijo: “Nun se risveja più,
fino a quanno er nemico d’ogni male
farà squillà le trombe sú ner cielo:

ogn’anima ritroverà la tomba,
ripijerà quer corpo ch’era perso
e sentirà er giudizzio universale”.

Così attraversammo tra la fanga,
poco pe’ vòrta tra la pioggia e l’ombre,
ragionando sur destino che ce tocca.

Dissi ar maestro: “ Ma ‘ste punizioni
aumenteranno dopo quer giudizzio,
o caleranno o resteranno eterne?”

E lui me fà: “Pensa a quanto hai studiato:
trovi, lí dove sta la perfezione,
tanto più forte er bene, tanto er male.

Anche si sanno questi disgraziati
che nun potranno mai esse perfetti,
er Giudizzio è mejo de ‘sta pena”.

Annammo poi in giro attorno ar cerchio,
parlanno assai de più de quanto dico;
principiava la strada a annà in discesa

e lí trovammo Pruto, er gran nimico.

La Commedia

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