#292 - 25 settembre 2021
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Di borgo in borgo

Negli opifici scavati nella roccia a Presicce e Specchia, in Salento,
una delle più cospicue e suggestive testimoninaze dell'antica arte di produrre olio

Il tempo dell'olio

Quando i frantoi erano grotte e a lavorare era la “ciurma”

di Marino Pagano

Il tempo dell'olio

Come sappiamo, la Puglia è la terra dell’olio. Viviamo anni di dolori e di xylella, ma resta questa realtà storica ineludibile. Un primato condiviso tra varie zone, da quella di Bari con Andria, Corato e Bitonto, a quella di Lecce con le aree interne e Gallipoli.

Vero e proprio marchio identitario, l’olio ci porta in due paesi del Salento profondo, Presicce e Specchia, in pieno suolo messapico, nel capo di Leuca.
Ecco allora i frantoi ipogei, sorta di città sotterranee e parallele, grotte naturali o scavate nella pietra per produrvi l’olio.
Cominciando il viaggio salentino, vivi già quel candore del silenzio, soprattutto nella borghese Presicce, espressione del passaggio dalla vecchia aristocrazia alla borghesia economica. Anche a Specchia rimane intatta l’armonia esteriore delle forme. Una certa mediterranea grandezza. Piazze calde, vaste, nutrite di pensiero e pensieri: la trasposizione plastica dei quadri di De Chirico.

Il tempo dell'olio

Specchia
Sotto questa solenne atmosfera, ci sono le viscere che scandiscono i ritmi di una storia agricola che viene da lontano. I frantoi ipogei sono la caratteristica principale di questo volitivo territorio. La celebre pietra leccese permette di essere scavata: così, sotto terra, dove l’economia si concilia con la geologia, sono nascosti, ma sempre più visitabili, gli spazi del passato. Un mondo di tradizioni che a Presicce è custodito nel Museo della civiltà contadina.

Il tempo dell'olio

Presicce
Dalla cultura delle case-grotte, pensate con evidente risparmio rispetto all’edificazione all’aperto, nasce l’idea dei cosiddetti “trappeti a grotta”. Una mite temperatura costante li rendeva ambiti utili per trattare le olive e realizzare l’olio. Un tratto distintivo di questa civiltà, che ha origine nel Neolitico e arriva sino ai tempi nostri, era anche la contiguità tra uomo e animale, oggi ovviamente abbandonata. Da ottobre a marzo, i “trappetari” insieme alle bestie portavano avanti un lavoro durissimo, estenuante.

La “ciurma” era la squadra di lavoro e “nachiru” era detto il capo, con evidente allusione alla terminologia marinara. Non può certo escludersi, infatti, che chi lavorava le olive in altri tempi dell’anno non operasse poi anche sul mare.
Due i tipi di torchio, entrambi in legno: uno “alla calabrese” e l’altro “alla genovese”, più moderno del primo e assai più diffuso dal Settecento. Nel 1816 Presicce contava ventitré ipogei, segno di dinamismo e crescita. Abbiamo visitato quello di “mesciu ‘Mberto” e il circuito sotterraneo dei frantoi di piazza del Popolo.

Dei diversi ipogei di Specchia ne sono visibili quattro, ben conservati. Bellissimi quello del monastero dei Francescani Neri (interessante anche per i pregevoli affreschi e la cripta) e quello, più vicino al centro, molto sinuoso, noto come “Scupola”. Terre bellissime, queste, con paesaggi mozzafiato, attorno ai piccoli rilievi delle Serre salentine, unici rilevabili picchi d’altitudine in queste zone.

Il tempo dell'olio

Ipogeo a Specchia
Se Presicce è relativamente da poco in corsa per un’idea di viaggio che valorizzi la sua anima, Specchia è già da tempo città pienamente integrata nella propria crescita e valorizzazione. Ma Presicce negli ultimissimi tempi ha fatto passi da gigante, grazie anche ad un’intelligente strategia di turismo e marketing.
A Specchia il regista Edoardo Winspeare ha ambientato scene del suo film “Sangue Vivo”. Resiste all’incuria il segmento di Specchia di una importante strada del passato, la via Sallentina, estensione della via Appia o, secondo altri, della Traiana-Calabra, che collegava i maggiori centri della Messapia. Una strada rilevante anche in età cristiana per i pellegrinaggi verso Leuca e il suo santuario.

Il tempo dell'olio

Specchia
Presicce e Specchia, allora, come lascito di quel mondo rurale che cercava riparo, sollievo, consolazione. Un lascito che ci si augura sia sempre da ispirazione e monito. Una sorta di irrinunciabile passo comune per un Meridione d’Italia che ha bisogno di ricomporre un suo percorso identitario. Un cammino storico e culturale che trova nelle pagine legate all’agricoltura il suo capitolo forse più importante.

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